IPv4 è morto: lunga vita a IPV6


ormai gli indirizzi IP sono finiti, il vecchio protocollo Ipv4 è al tramonto ma l’erede l’IPv6 è già pronto a salire sul trono di internet.

Si stima che fino al 2025 entrambi i protocolli coesisteranno, dopo di che ci sarò il definitivo cambio di rotta.

Per l’8 giugno 2011 è prevista un super-test mondiale della durata di 24 ore in cui i siti internazionali di maggiore successo come Google, Facebook ed altri grandi del Web, saggeranno il livello di stabilità ed affidabilità del sistema.

Questo passaggio naturalmente non sarà indolore a livello monetario, per esempio delle piccole e medie imprese che hanno strutture vecchie ma solide dovranno sostenere alcuni costi per l’adeguamento del software utilizzato per le varie reti, e l’acquisto di router e switch non compatibili con IPv6.

IPv6 è la versione dell’Internet Protocol designata come successore di IPv4. Esso introduce alcuni nuovi servizi e semplifica molto la configurazione e la gestione delle reti IP. La sua caratteristica più appariscente è il più ampio spazio di indirizzamento: poiché riserva 128 bit per gli indirizzi, IPv6 gestisce 2128 (circa 3,4 × 1038) indirizzi, mentre IPv4, che consente un numero di bit per l’indirizzamento pari ad un quarto di quelli per IPv6, ossia 32, gestisce soltanto 232 (circa 4 × 109) indirizzi. Quantificando con un esempio, per ogni metro quadrato di superficie terrestre, ci sono 666.000.000.000.000.000.000.000 indirizzi IPv6 unici (cioè 666 mila miliardi di miliardi), ma solo 0,000007 IPv4 (cioè solo 7 IPv4 ogni milione di metri quadrati).
L’ICANN rese disponibile[1] il protocollo IPv6 sui root server DNS dal 20 luglio 2004, ma solo dal 4 febbraio 2008 iniziò l’inserimento dei primi indirizzi IPv6 nel sistema di risoluzione dei nomi. Si prevede che gli indirizzi IPV4 finiranno nel 2012[2] anche se il protocollo IPv4 verrà utilizzato fino al 2025 circa, per dare il tempo necessario ad adeguarsi[3].
Il motivo più pressante dietro l’adozione del protocollo IPv6 è stato l’insufficienza di spazio per l’indirizzamento dei dispositivi in rete, in particolar modo nei paesi altamente popolati dell’Asia come l’India e la Cina. Si veda la voce sull’esaurimento degli indirizzi IPv4 per approfondimenti.
Oltre a rispondere a questa esigenza l’IPv6 incorpora alcuni protocolli che prima erano separati, come l’ARP, ed è in grado di configurare automaticamente alcuni parametri di configurazione della rete, come per esempio il default gateway. Inoltre supporta nativamente la qualità di servizio e introduce l’indirizzamento anycast, che permette ad un computer in rete di raggiungere automaticamente il più vicino server disponibile di un dato tipo (un DNS, per esempio) anche senza conoscerne a priori l’indirizzo.
Per quanto riguarda i grandi gestori di telecomunicazioni, le principali migliorie sono:
header di lunghezza fissa (40 byte);
pacchetti non frammentabili dai router (se necessario, gli host possono frammentare);
eliminazione del campo checksum, già presente negli altri strati dello stack e perciò ridondante.
Queste tre novità alleggeriscono molto il lavoro dei router, migliorando l’instradamento e il throughput (pacchetti instradati al secondo). Insieme all’IPv6 inoltre viene definito anche l’ICMPv6, molto simile all’ICMPv4 ma che ingloba il vecchio protocollo IGMP, assumendosi anche il compito di gestire le connessioni multicast.
IPv6 è la seconda versione dell’Internet Protocol ad essere ampiamente sviluppata, e costituirà la base per la futura espansione di Internet.
Indice [nascondi] 1 L’indirizzamento in IPv6 1.1 Notazione per gli indirizzi IPv6
1.2 Indirizzi speciali

2 Il pacchetto IPv6
3 IPv6 ed i Domain Name System
4 Principali notizie su IPv6
5 La transizione all’IPv6 5.1 Meccanismi di transizione

6 Gruppi di lavoro IETF affini
7 Chi è passato in IPv6
8 Note
9 Bibliografia
10 Voci correlate
11 Collegamenti esterni

L’indirizzamento in IPv6 [modifica] Il cambiamento più rilevante nel passaggio dall’ IPv4 all’ IPv6 è la lunghezza dell’indirizzo di rete. L’indirizzo IPv6, come definito nel RFC 2373 e nel RFC 2374 è lungo 128 bit, cioè 32 cifre esadecimali, che sono normalmente utilizzate nella scrittura dell’indirizzo come descritto più avanti.
Questo cambiamento porta il numero di indirizzi esprimibili dall’ IPv6 a 2128 = 1632 ≈ 3.4 x 1038.
Si sente dire spesso che uno spazio di indirizzamento di 128 bit sia ampiamente sovradimensionato. Occorre però considerare che la ragione di un indirizzamento così ampio non è da associare alla volontà di assicurare un numero sufficiente di indirizzi, quanto piuttosto al tentativo di porre rimedio all’attuale frammentazione dello spazio di indirizzamento IPv4. È oggi, infatti, possibile che un singolo operatore di telecomunicazione abbia assegnati numerosi blocchi di indirizzi non contigui.
La seconda grossa differenza fra l’indirizzamento IPv4 e quello IPv6 è che le vecchie classi di indirizzo IPv4 erano basate sul concetto di rete e sottorete, mentre in IPv6 questa suddivisione è lasciata all’utente finale dell’indirizzo (si presume che diverrà prassi normale assegnare non un singolo indirizzo agli utenti IPv6 ma intere sottoclassi). I primi 10 bit dell’indirizzo IPv6 descrivono genericamente il tipo di computer e l’uso che questo fa della connessione (telefono VoIP, PDA, data server, telefonia mobile ecc.)
Questa caratteristica svincola virtualmente il protocollo IPv6 dalla topologia della rete fisica, permettendo per esempio di avere lo stesso indirizzo IPv6 a prescindere dal particolare internet provider che si sta usando (il cosiddetto IP personale), rendendo l’indirizzo IPv6 simile a un numero di telefono. Queste nuove caratteristiche però complicano il routing IPv6, che deve tenere conto di mappe di instradamento più complesse rispetto all’IPv4; proprio le nuove proprietà dell’indirizzamento sono anche i potenziali talloni d’Achille del protocollo.

Fonte Wikipedia.

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