iPhone: blacklist, kill switch e rischi orwelliani?


Il primo a lanciare l’allarme era stato uno sviluppatore indipendente, Jonathan Zdziarski, che aveva trovato qualcosa di sospetto nel software di bordo dell’iPhone…
Poi è arrivata la conferma ufficiale da parte di Steve Jobs, intervistato dal Wall Street Journal: sì, è vero, Apple ha la possibilità di controllare a distanza tutti gli iPhone e disabilitare, qualora lo ritenga opportuno, applicazioni installate sui dispositivi degli utenti.
Subito i pensieri sono corsi a disegnare scenari a Orwell e al Grande Fratello… Il 2008 è il nuovo 1984?

Nell’intervista al WSJ (che, detto per inciso, è tutta centrata sulle vendite dell’iPhone e tocca solo marginalmente il tema della blacklist), Steve Jobs cerca di gettare acqua sul fuoco.
Sì, il “kill switch” esiste, ma è una funzione molto limitata e che comunque verrebbe usata solo in casi molto gravi.

“Speriamo di non aver mai bisogno di tirare quella leva – ha affermato Steve Jobs – ma sarebbe irresponsabile non avere una maniglia come quella da tirare in caso di necessità”.

L’iPhone, come aveva constatato Jonathan Zdziarski, ogni tanto si collega al sito Apple e scarica in maniera automatica – e del tutto invisibile all’utente – un file che contiene un elenco di “applicazioni non autorizzate”, che potrebbero poi essere eliminate in automatico dall’iPhone. È la famigerata blacklist, la lista nera di cui si era parlato nei giorni scorsi e che, per ammissione di Steve Jobs, esiste davvero.
Resta da capire quanto è nera la lista nera, ossia cosa significhi realmente.

Tanto per cominciare, sgombriamo il campo da un primo possibile equivoco: kill switch e blacklist non danno ad Apple la possibilità di “teleguidare” l’iPhone all’insaputa e magari contro la volontà dell’utente facendogli fare chissà cosa, spiandolo nei suoi movimenti o conversazioni. Danno però ad Apple la possibilità di cancellare, d’autorità, eventuale software non desiderato.

Secondo quanto riferisce Puntocellulare.it, probabilmente tutto ciò è assai meno orwelliano di quanto possa sembrare a prima vista:

“Più che un modo per combattere la pirateria e porre un nuovo vincolo ai programmi che si possono utilizzare – si legge sul sito – la famigerata ‘blacklist’ servirebbe ad impedire che alcune applicazioni possano accedere alle funzionalità dei Core Location Services, con cui l’iPhone è in grado di determinare la propria posizione effettuando una triangolazione della rete, oppure tramite il GPS integrato (presente solo su iPhone 3G). In pratica Apple avrebbe soltanto la possibilità di evitare che alcuni programmi possano ‘spiare’ gli utenti rilevando la loro posizione, disabilitando limitatamente alla singola applicazione l’accesso alle funzionalità di localizzazione”.

Certo è, però, che una simile funzione nascosta solleva dubbi e perplessità di tipo “filosofico”, come si legge in questo pezzo di Massimo Russo su Repubblica.it.

Che dire, in conclusione? Aspettiamo di saperne di più dal punto di vista tecnico, ma qualche dubbio etico resta.

È vero che anche sui nostri computer agiscono routine che vanno a interpellare, senza dirci nulla, il server della casa o altro: basti pensare ad Aggiornamento software o all’aggiornamento automatico di data e ora. Però in questi casi l’ultima parola è lasciata, giustamente, all’utente: è lui che alla fine può decidere se aggiornare i software o regolare correttamente l’orario. Qui, invece, Apple agisce d’imperio e in maniera per nulla trasparente, e con un potere discrezionale troppo ampio: in base a quali criteri si decide la blacklist? E se Apple decidesse di disattivare in quel modo le applicazioni di una software house che le è sgradita per motivi commerciali o altro?
Inoltre, questa funzione nascosta potrebbe diventare una backdoor, per mezzo della quale qualcuno potrebbe inviare istruzioni dannose per gli iPhone e gli utenti.
Scenari fantasiosi, però è comprensibile che qualcuno li sollevi.
Anche perché l’interrogativo sorge spontaneo: ma quant’è veramente “nostro” il dispositivo che abbiamo comperato?
Non vorremmo mai che le aziende iniziassero a ispirarsi, più che a George Orwell, a Lapo Elkann

Fonteapplemania.blogosfere.it

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