P2P: Uno studio dimostra che non tutto è negativo per l’artista

The Long Tail of P2P, un rapporto preparato per conto della PRS for Music, una società britannica che riscuote i diritti d’autore per conto degli artisti, arriva ad una conclusioni sorprendenti sul ruolo della pirateria e del file sharing per quanto riguarda la musica, ponendosi in netto contrasto con le asserzioni dell’industria discocinematografica che paventa perdite colossali e reclama leggi che la tutelino maggiormente come la nuova legge francese.

Secondo il rapporto, infatti, il file sharing non solo non causa danni, ma aiuta gli artisti famosi a diventare ancora più famosi.
Di conseguenza, i circuiti di condivisione andrebbero visti come nuovi canali radiotelevisivi anziché come nemico da combattere. Una visione che non mancherà di far discutere, anche perché è supportata da dati piuttosto ben documentati.

Quello che colpisce del rapporto è che non si tratta in realtà di una presa di posizione pro o contro la pirateria, ma di un’analisi di un altro tema, quello della “coda lunga”. Le questioni piratesche emergono come conseguenza secondaria.

La “coda lunga”, o long tail nella dizione originale coniata da Chris Anderson in un articolo di Wired nel 2004, è la teoria secondo la quale quando i costi di duplicazione, magazzino e distribuzione scendono quasi a zero, diventa commercialmente sostenibile vendere poche copie di ciascun prodotto (la coda lunga della distribuzione delle vendite) anziché concentrarsi su pochi prodotti con un alto volume di vendite. I fondi di catalogo diventano vendibili anziché finire al macero. Questa ricchezza di scelta senza precedenti dovrebbe, secondo la teoria, portare orde di utenti ad acquistare prodotti rari ed ampliare i propri orizzonti di scelta.

Non è così, secondo il rapporto della PRS. Ci sono poche prove dell’idea che la coda più lunga in assoluto, ossia la ricchezza di repertorio sterminata offerta dai circuiti di file sharing, spinga grandi quantità di utenti a consumare e acquistare musica più eterogenea, scoprendo nuove band. Invece i titoli più scaricati nei circuiti di file sharing sono gli stessi che vengono maggiormente venduti nei negozi. Di coda lunga c’è solo una traccia molto esigua.

Il motivo di questo comportamento degli utenti è, paradossalmente, l’eccesso di scelta. La maggior parte della gente non ha tempo di spulciarsi cataloghi sterminati di musica alla ricerca di canzoni che potrebbero risultare interessanti, e alla fine si viene influenzati da quello che gli altri media propongono e dalla musica ascoltata dagli amici. C’è una nuova nicchia di utenti che ascoltano musica che prima non avrebbero potuto scoprire, ma è numericamente poco significativa. In altre parole, il file sharing rende più famosi i già famosi.

Le canzoni maggiormente scaricate restano le più vendute nonostante siano, appunto, massicciamente scaricate. Certo c’è stata una forte contrazione delle vendite: “un mercato musicale che un tempo alimentava vendite nei primi sette giorni anche di due milioni di copie per un album al primo posto in classifica (solo negli USA) ora produce album che arrivano a molto meno di metà di quel numero”, nota il rapporto.

Lascia un commento